La DAD (didattica a distanza) vista dagli occhi di chi, da circa un anno, è passato dal campus universitario alle quattro mura della cameretta.
Per qualcuno probabilmente è la “scuola dei sogni” (quella comodamente da casa), per altri invece un vero è proprio disagio. Stiamo parlando della didattica a distanza, il fenomeno che si cela dietro uno degli acronimi più gettonati dell’ultimo anno: la DAD.
Senza alcun dubbio è la “svolta del secolo”, sono infatti tanti i fattori positivi che ruotano attorno a questa forma di didattica che avviene senza la presenza fisica di insegnanti ed alunni in aula, bensì servendosi di strumenti online. La pandemia da Covid-19 ha reso obbligatoria l’attivazione della DAD, anticipando in un certo senso la concretizzazione di un processo che si sarebbe sviluppato più lentamente in futuro. Gli impedimenti iniziali, le difficoltà, la poca dimestichezza col nuovo strumento hanno causato non pochi disagi ma, senza dubbio, la DAD è uno strumento di qualità che va perfezionandosi sempre di più.
Tra tutti gli organi didattici, anche l’Università si è “adeguata” al sistema ricorrendo a soluzioni e alla messa a disposizione di strumenti che da un anno a questa parte sono il pane quotidiano per chi punta alla formazione. «Per quanto mi riguarda la DAD l’ho trovata utile perché sono riuscita a seguire tutti i corsi senza stress (abitando lontano). Alienante per il contatto umano soprattutto coi compagni e per la vita nel campus che sicuramente è diversa dalla vita da sola in cameretta» scrive Chiara Riccio, studentessa dell’ateneo di Salerno.
Come ogni cosa degna di nota, anche la didattica a distanza presenta i suoi pro e i suoi contro. Il risparmio economico, la possibilità di poter seguire sempre (o quasi) le lezioni perché registrate o perché probabilmente con i mezzi pubblici non sareste mai arrivati puntuali per quella lezione, l’affitto evitato per i fuori sede e l’esame online svolto comodamente da casa (moderando così lo stato d’ansia ma non per tutti), sono sicuramente gli effetti positivi che questo strumento apporta.
«La mia esperienza in DAD fino ad ora è stata decisamente negativa. In primis, essere in presenza, uscire di casa e raggiungere fisicamente l’ateneo è un processo che sveglia la mente e ci pone in una situazione di attenzione contestuale che non si crea a casa quando si hanno tutte le comodità e tutte le proprie distrazioni a portata di mano» racconta Vincenzo Orsanto, studente di Corporate Communication and Media. «Inoltre, mi rendo assolutamente conto della difficoltà dovuta alla novità anche da parte dei professori, ma ho davvero percepito poca pazienza e poca tolleranza nei confronti di situazioni e problematiche non dipese da studenti che purtroppo non sono in possesso di una connessione stabile, dell’attrezzatura adeguata o di un proprio spazio dove concentrarsi per sostenere un esame o seguire tranquillamente. Mille indicazioni, mille imposizioni che paradossalmente non si erano mai viste nemmeno in presenza» prosegue Orsanto.
Infatti, analoghi sono i disagi causati: a partire dal gap tecnologico, dai problemi di connessione, dal rapporto sempre più distaccato tra studenti e docenti, al contatto umano che è venuto meno e al mancato vissuto della vita universitaria. «Dal punto di vista della mobilità mi è andata bene con la didattica a distanza, ma per una cosa positiva ce ne sono altre mille negative. La connettività ad esempio: viviamo ogni esame con l’ansia che la linea possa cadere, che il pc si blocchi o che vada via la corrente» racconta Nunzia Nappi, studentessa dell’Università di Salerno.
Certo, probabilmente al problema della connessione ad internet c’è rimedio, ed anche al ritrovare il materiale didattico utile, e forse anche alla predisposizione mentale di “sopportare” l’umore dei professori. Non c’è però rimedio per chi, come Gaia, ritiene l’università un “posto stupendo”.
Gaia Saturno è una studentessa magistrale dell’Università di Salerno e praticamente da sempre è alla guida della sua “Lamborghini in comodato d’uso” (la sua carrozzina). Per lei, il dover andare all’Università era l’unico momento di “svago” e socialità che aveva. «Ho un ateneo fantastico, che tiene profondamente presenti le mie vicissitudini e, considerato che per fatti personali legati ad un lunghissimo percorso riabilitativo ho fatto tutte le scuole da privatista, amo dire spesso che in realtà l’università per me è stata un liceo! Ho stretto rapporti molto significativi tra quelle mura» racconta.
Il suo amato laboratorio, composto da persone che per lei sono non solo colleghi, bensì una famiglia, è diventato un posto irraggiungibile, quasi un miraggio ormai.
«Io sono una che cerca sempre il buono, ovunque e comunque, nonostante tutto, lasciate che vi dica una cosa: non è mica vero che la Dad è tutto sto schifo! Soprattutto perché in un momento in cui siamo tenuti a stare lontani per proteggerci, abbiamo smesso di pensare ai prof come dei robot! Ho visto docenti quasi novantenni, mettersi di fronte ad una webcam pur di restare al nostro fianco! Ne ho visti altri farsi aiutare dai figli a caricare in piattaforma le lezioni registrate e altri ancora barcamenarsi per ore e ore col wi-fi sovraccarico, con bambini di 6-9 anni anche loro in Dad a esattamente 3 metri di distanza!».