Gaia Saturno, studentessa 27enne di Scienze della Comunicazione all’università di Salerno, racconta la sua esperienza con la didattica a distanza.
“Scuole chiuse di ogni ordine e grado” è l’ennesima e anche ultima ordinanza del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Ad un anno dall’inizio della pandemia, comprese le annesse aperture “a singhiozzo” degli istituti didattici a cui abbiamo assistito durante questo periodo, sembra proprio che la luce in fondo al tunnel tardi ad essere raggiunta.
Se però le scuole hanno avuto la possibilità di riaprire i cancelli, almeno una volta durante l’arco di un intero anno, non vale lo stesso per l’Università. Gli studenti dell’ateneo salernitano, infatti, non sono mai più ritornati nelle aule del campus per seguire le lezioni né per sostenere gli esami. La situazione comincia a farsi davvero pesante soprattutto per chi considera l’università come il proprio “paradiso terrestre”.
GAIA SATURNO SI RACCONTA
Gaia Saturno, 27 anni, laureata in Scienze della Comunicazione presso l’università degli studi di Salerno e attualmente studentessa magistrale presso il medesimo ateneo. «Dalla nascita me ne vado in giro comoda comoda su una bella Lamborghini gentilmente concessa in comodato d’uso» si presenta così Gaia, parlando della sua carrozzina. «Ho un ateneo fantastico, che tiene profondamente presenti le mie vicissitudini – continua –. Ho trascorso un lunghissimo percorso riabilitativo ho dovuto frequentare tutte le scuole da privatista e per questo amo dire che in realtà l’università per me è stata un liceo».
Tra le righe di queste parole si evince quanto quest’ultimo anno sia stato deleterio anche e soprattutto a livello umano, in particolar modo per chi, come Gaia, faceva dell’Università il suo unico momento di svago e socialità. «Ho stretto rapporti molto significativi tra quelle mura! Vi parlo di un posto stupendo! Un posto infinitamente simile al paradiso che ha fatto della lettera muta per eccellenza (la H di “Handicap”) la porta d’accesso al posto più sicuro di tutti! Un posto dove non esistono barriere di nessun tipo a cominciare da quelle architettoniche».
Inutile negarlo: oltre alle lezioni e all’ansia per un esame, l’università non si limita ad essere solo un mero momento formativo della vita di un individuo. Anzi, è molto di più di nozioni da imparare a memoria e numeri. Gaia infatti ci porta alla scoperta del “laboratorio H”, un posto in cui passare le intere giornate, dove si festeggia la qualsiasi e ogni scusa è buona per mangiare. «Ci sono miei amici che davvero in quel laboratorio si sentono a casa, aldilà della didattica, il laboratorio H è una famiglia! Famiglia significa anche fare l’albero di Natale tutti insieme, significa che c’è qualcuno pronto a darti una mano anche solo per spegnere le candeline e fa con te una partita all’impiccato».
Da quando l’emergenza sanitaria ha preso il sopravvento, questa dimensione è drasticamente mutata e a Gaia le manca da morire. «Quando hanno “riaperto”, io non mi sono mai mossa da casa perché il laboratorio H salva le vite ma non è considerato un laboratorio didattico e neanche una biblioteca, quindi è rimasto sempre chiuso, essendo peraltro noi considerati soggetti fragili e deboli siamo rimasti a casa a seguire a distanza». In tempi normali, Gaia, come tutti gli altri, si recava in ateneo pur non avendo impegni didattici ma solo ed esclusivamente per il piacere di stare insieme.
In tutto ciò, inevitabilmente, tutti hanno dovuto fare i conti con la DAD (didattica a distanza) e con tutti i suoi aspetti negativi e positivi che ne derivano. Dall’esperienza di Gaia, nonostante i tanti disagi e malesseri a livello sociale ed umano «la Dad non è poi così male! Soprattutto perché in un momento in cui siamo tenuti a stare lontani per proteggerci, abbiamo smesso di pensare ai professori come dei robot».
Un pensiero profondo, il suo, che spesso non viene preso in considerazione perché troppo scontato. Il docente solitamente è visto dagli studenti come un personaggio freddo, subito pronto a giudicare. Ma la didattica a distanza ha insegnato che non tutti i professori sono ciò che appaiono. «Ho visto docenti quasi novantenni mettersi di fronte ad una webcam pur di restare al nostro fianco! Ne ho visti altri farsi aiutare dai figli a caricare in piattaforma le lezioni registrate» racconta Gaia. Che poi conclude augurandosi: «Spero che prestissimo torneremo tra quei banchi e non vedo l’ora di tornare anche per per abbracciare i miei prof! E dire loro un GRAZIE COLOSSALE».