di Antonio Vacca
Opportunità singolare, alla Terza Stagione del suo variegato percorso, ha offerto ieri sera il Teatro Giuffré di Battipaglia (il primo in Italia intitolato all’attore napoletano, Aldo) ospitando uno spettacolo pluripremiato e datato quasi un trentennio, La Lettera; con Paolo Nani (liberamente da un libro di Queneau). Le suggestioni istintive vanno fugate; mettere cioè l’etichetta d'”impegno” a questo tipo di teatralità (certo, lontana dai toni più diretti e fruibili della Commedia ‘leggera’) e, secondariamente, intendere come performance di ‘Mimo’ quella d’un artista che -sì, effettivamente- conduce tutta l’escursione drammaturgica all’impronta del più universale dei linguaggi, il silenzio.
Ciò che rende ragione non solo dell’enorme capacità recitativa di Nani, tutta affidata a quello che oggi definiremmo ‘Linguaggio del corpo’, comunicazione extra-verbale; ma spiega peraltro la diffusibilità -e con clamor di successo- della “pièce” in decine di Nazioni, fra loro in significativa discontinuità linguistica, teatrale e culturale.
La Scena è pronta all’ingresso, un tavolo con pochi oggetti, sotto una luce bluastra. Quando tutto il palco s’illumina cogliamo gli elementi della serata: bottiglia e bicchiere, buste e fogli da lettera, francobollo, penna, una cornice contiene una foto retró. Così inizia il reiterato tentativo di scrivere, imbustare, affrancare, aprire una corrispondenza, arrabbiarsi con la penna, un rapporto amore/odio col (finto) vino, spesso spruzzato o sversato sulla scena.
La quale ospita in realtà una sequela di “quadri” -siparietti, detti d’altro canto- tesi a rappresentare l’intento suddetto, il protagonista alle prese con le ‘sue’ cose: ma da punti attoriali diversi, oggi si direbbe ‘modalità’; così c’è il Sogno, pigrizia o volgarità, ‘all’indietro’, Senza Mani (inevitabilmente virtuosistico), le impostazioni western oppure ‘horror’, quella circense ed ovviamente, manco a dirlo: “alla maniera” del Cinema Muto.
A tal proposito, La Lettera non è certo immersa nel silenzio metafisico da Teatro surreale; semplicemente Nani affronta il pubblico aprendo poco la bocca: salvo che in presentazione o per qualche mezza parola di quelle che “scappano”: c’è posto per un ineluttabile vaffa. DI contro, lo spettacolo corre sul filo di suoni e rumori e di quelle nostre quotidiane espressioni ‘smozzicate’ che sono mormorii, imprecazioni, borbottare o intonare motivi musicali solo fra naso e palato.
Il Nostro, qui s’avvale d’ una serie di scritte rettangolari che gli s’attaccano da Coperta di Linus e si succedono come in un pannello ferroviario: sia per introdurci le scansioni del contesto poli-scenico che per comunicare, fino al commiato burlesco, quando entra in scena un secondo tavolo (con oggetti diversi) ed il feeling col pubblico è maturo. Indi l’attore emiliano aggiunge un ‘post’ per rispondere a domande e curiosità di alcuni spettatori; altri erano stati già coinvolti dall’immancabile gigioneggiare scenico con le prime File.
Risposta divertita e plaudentissima, come nelle più comiche occasioni, d’una platea coinvolta. Che -nota a margine- ancora non riesce ad affollare se non lo spazio centrale del Giuffré. Perché, recisa la relazione, soddisfacente, col CineTeatro chiuso da qualche anno, la Città non riesca a ‘tornare al Teatro’, rimane d’interpretazione non facile. Pensando che, a riempire una ‘giovane’ Sala come questa, buona acustica e visione, media capienza, basterebbe ben meno dell’Uno per cento della popolazione.
E considerando la qualità degli ospiti visti esibirsi; Gravina, Caprioglio, Lo Verso, Cirilli, Miconi, Rivieccio, Caiazzo, Casagrande (fra i più frequentati), Pasotti, Arteteca e dimentichiamo senz’altro. A prezzi abbordabili e con Stagione dagli appuntamenti non troppo numerosi. L’iniziativa dei volitivi e professionali promotori andrebbe ben più supportata; a prescindere. Mistero. Che meriterebbe una Lettera. A parte.