Strade chiuse, ronde di carri attrezzi, pattuglie di vigili, clacson impazziti, code chilometriche: oggi i bambini non escono più semplicemente di scuola, piuttosto sono comparse non pagate in esercitazioni militari di massa. Ormai all’approssimarsi di ogni trillo di campanella c’è nelle strade un tale dispiegamento di uomini e mezzi che t’aspetti da un momento all’altro di ritrovarti un Rambo sul tettuccio o un Bruce Willis appeso a una scaletta d’elicottero. Tanto che un po’ ci rimani pure male, quando ti avvicini al resto dei genitori in attesa e nessuno ti porge un giubbotto antiproiettili, un tè caldo, una coperta isotermica. Che stato d’emergenza è, senza un detective col taccuino che viene a dirti: “Si sieda, mi racconti com’è andata”.
Boh. Mi sarò perso qualcosa, dal ’79 a oggi. Noi, quotidianamente, tutti alla stessa ora, dalla De Amicis ne uscivamo in centinaia. Da cinque portoni differenti. Chi si sversava in piazza Amendola, chi in piazza mercato, chi dritto sulle due strade parallele che costeggiano l’edificio. C’era un unico vigile, piazzato all’attraversamento pedonale di via Mazzini, e nemmeno sempre: solo quando non funzionava il semaforo. E non me ne ricordo, di alunni coinvolti in incidenti. O, se qualcosa è accaduto, di sicuro non era collegato alla viabilità nei dintorni del plesso scolastico: erano tempi che pedofili, guappi, bulli e tossici ce li si scansava zigzagando come con le chicane a Monza, bastava una sola curva presa troppo larga per restare segnati a vita.
Dice: e ok, che paragone floscio, quarant’anni fa c’erano un quinto delle macchine di oggi. Eh. Ma oggi ci sono cinque volte le scuole di quarant’anni fa. Questo va con quello: è matematica. O statistica. O abuso di detto popolare, ma è uguale. Soprattutto, ai tempi, almeno metà di noi – chi per la vicinanza a casa, chi perché già in quarta o quinta – si rincasava da soli, senza quest’obbligatorietà d’un adulto censito e identificato che ci scollasse dalla mano apprensiva della maestra.
Eccoli, adesso vi vedo: indignazione massima, mi sto permettendo di contestare roba che va a tutela dei bambini, “vorrei vedere se fosse tuo figlio”, “gli scolari abbandonati e gli immigrati con lo smartphone”, “rosicone, maalox!”.
Nossignori, calma. Di figli a scuola ne ho, e sul merito niente da ridire: io qua parlo di misura. Fino all’altr’anno chiudevano via De Gasperi due ore al giorno per l’entrata e uscita dai “Padiglioni” della scuola Fiorentino, per dire. Si gambizzava un pezzo intero di città per consentire ai genitori di ciondolare in strada discutendo dei compiti difficili, del menu a mensa, dell’insegnante troppo severa ma troppo permissiva, di Rocchino che aveva tirato le trecce a Rosina perché aveva offeso Teresina, e giù capi d’imputazione, arringa e sentenza.
O ancora, metti il plesso nel seminario Bertoni: già lì è zona mercato, poi in orario d’uscita scolastica addio. Fin quando non è fuori anche il gatto che s’era intrufolato all’ultima ora per inseguire una foglia scambiata per topo, e quando te lo danno, il via libera per superare le strisce. Il campeggio di sabato mattina a via Gonzaga è ormai tra le offerte last minute delle agenzie di viaggi; pare ci sia gente di Olevano che da mesi ha desistito dal tornare a casa e ha ripiegato sull’occupazione permanente di un sottoscala in zona Besta.
E no, e dai, ma scherzo. Proteggiamoli per bene ‘sti ragazzini, è giusto. Non sia mai vivessero il trauma di venir su come me: impaziente, arrogante e col dubbio in testa che mia madre, con quel fatto delle caramelle dagli sconosciuti, si preoccupasse solo che non lasciassi debiti per salumerie.