La sindaca Francese non arretra di un millimetro: l’ordinanza non verrà revocata ed è soltanto l’inizio di una lunga serie
Diciassette aziende e più di seicento lavoratori: a via Spineta c’è una cittadella che trema per la norma di quindici anni fa. L’ordinanza comunale contro la Palmeco fa sobbalzare industriali ed operai, che ora s’interrogano sul futuro.
I Palmieri, titolari della fabbrica nel mirino, parlano da «perseguitati» e fanno sapere che venderanno cara la pelle: «Decideranno i giudici del Tar», tuona l’ad.
Tutto fermo
Nei capannoni della Palmeco non c’è neppure un rifiuto: è così da più di sei mesi, da quando i carabinieri del Noe diedero esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo. Dalla fine di agosto, dal giorno del dissequestro, soltanto i lavori di revamping, costati più di 2 milioni di euro: nella piattaforma del pattume, fresca di una nuova autorizzazione regionale, era tutto pronto per la ripartenza.
Poi, però, è arrivata la mazzata: i tecnici comunali hanno ordinato la cessazione immediata delle attività e dal Suap hanno vietato la prosecuzione delle lavorazioni. Tutto a causa dell’articolo 7 delle norme tecniche attuative della variante di adeguamento ed ampliamento della zona D2, a via Spineta, approvata alla fine del 2004 dal consiglio comunale guidato da Alfredo Liguori: no alle “attività insalubri di prima e seconda classe e a quelle capaci di arrecare pregiudizio all’ambiente”.
Lo sfogo
«Sembra assurdo quanto abbiamo appreso dagli organi di stampa», sbotta Giuseppe Melilli, amministratore delegato della Palmeco. «È nato tutto dalla segnalazione certificata d’inizio attività per delle tettoie metalliche…», racconta.
Da lì è partita l’istruttoria comunale: «Dicono che non c’è la conformità urbanistica, ma qui vicino c’è l’isola ecologica della loro municipalizzata, Alba». Il ragioniere si domanda «perché puntare l’indice solo contro la Palmeco? È una persecuzione».
Eppure il paletto alle attività insalubri, definite dal Testo unico delle leggi sanitarie, mette al bando gran parte delle ditte, addirittura le cascine e le falegnamerie. «A Battipaglia lottiamo per la Treofan, e facciamo benissimo, ma è possibile che poi la sindaca ordini lo stop delle attività ad un’azienda come la nostra, che ha 45 addetti, e metta a rischio tutte le fabbriche di via Spineta, che hanno più di 600 dipendenti?».
Nello stringente elenco insalubre, in effetti, ci rientrerebbero quasi tutte le ditte. «Trattiamo rifiuti dal 2007, dalla Regione abbiamo ottenuto autorizzazioni nel 2012 nel 2014, nel 2016, nel 2017 e nel 2018, ed alle conferenze dei servizi c’era pure il Comune, che finge di accorgersi soltanto ora che lavoriamo immondizia…».
Alla Palmeco c’è tanta rabbia: «E c’è stanchezza, perché passiamo il tempo a difenderci; sono stanchi e impauriti pure i dipendenti». Anche perché per ora non si riparte: «Aspetteremo i giudici del Tar», ai quali gli avvocati Francesco Avagliano ed Emilio Paolo Sandulli chiedono di annullare i diktat del Comune
La sindaca tira dritto
E Cecilia Francese va dritta per la sua strada: «Quella zona va rivalutata, pensando alla riqualificazione della fascia costiera e per il rilancio del turismo passano di lì». Quella, per la sindaca, è «un’area che porta al mare, un’area di campi e di case, che con l’industria del rifiuto hanno subito una svalutazione».
Di mezzo c’è il nuovo Puc: «Ho già parlato con l’incaricato, l’architetto Antonio Oliviero, e gli ho detto che fascia costiera ed area industriale sono le nostre priorità».
E s’incrociano a via Spineta: «Dobbiamo ragionare per risolvere il problema delle attività artigianali, perché le falegnamerie, per esempio, rientrano in quell’elenco ma non sono insalubri».
Poi c’è l’isola ecologica, che va dirottata altrove: «Anche il Comune è venuto meno al rispetto delle norme…». Approvate nel 2004 e mai applicate: le avevano dimenticate tutti? «Non so – conclude la sindaca – ma è stato bravo il nostro dirigente, Carmine Salerno, che le ha riscoperte».