Quando tutto sarà finito torneremo ad abbracciarci, tra le strade affollate. Riavremo le nostre vite, le nostre abitudini, il gusto del caffè al bar e della chiacchiera con un amico.
Occorre ottimisticamente tendere al futuro, nel giusto e umano desiderio di riappropriarci della libertà di scelta.
Quando il futuro arriverà però non dovremmo sprecare una possibilità: che questo futuro non sia tanto uguale al prima.
Altrimenti questa piaga biblica non ci avrà insegnato nulla, e non in termini esistenziali: non ci voleva una pandemia per capire la qualità dei rapporti umani costruiti nella vita da noi vissuta, ma in termini di comprensione della società che è stata costruita attorno a noi.
Perché la pandemia ci ha illustrato con precisione millimetrica le storture, le furbizie, le ingiustizie strutturali, le diseguaglianze sociali accettate da noi tutti come naturali e immutabili in forza del nostro continuo desiderio di possesso.
La catastrofe che stiamo vivendo, fortunatamente non in una guerra, ha amplificato e precisato i contorni del perimetro in cui viviamo e del modo in cui il pianeta è stato saccheggiato.
Bauman ideò il concetto di società liquida per definire il crollo degli ideali che avevano animato il novecento, ma c’è da dire che ci scopriamo disarmati a non averne di migliori, poiché tocca constatare che anche il virus è di classe.
Le case piccole in cui convivere, i soldi che mancano perché arrivano dalle cooperative, il poderoso esercito dei lavoratori in nero, le partite iva spaventate dal fermarsi.
Quando tutto sarà finito, felici dell’essere tornati alla normalità, dovremo ricordarci delle cose che non vanno bene, perché questo nostro presente è fragile e ingiusto, è cinico e diseguale, schiaccia i più deboli e premia solo i forti.
Forse occorre capire che quando tutto finirà andrà ridisegnato il sistema delle protezioni, del lavoro, della distribuzione delle risorse, della tutela dell’ambiente e grande sarà la necessità di farlo, quanto è grande la voglia di tornare a riabbracciarci.
Il futuro non arriverà soltanto, lo si dovrà costruire con le nostre mani e occorrerà avere abbastanza coraggio, e potremmo dirci veramente liberi solo quando riusciremo a uscire dalla sequenza che anima le nostre vite:
Produci.
Consuma.
Crepa.
Come costruirlo? Dando fiducia da subito a chiunque si batta per la tutela dell’ambiente.
Il resto verrà da sé.