di Paolo Bini
“Quando ami la vita essa ti risponde questo è l’anelito con tutte le cose”, è una citazione di Gelsomino Casula, un uomo che di certo non passava inosservato. Alto, austero, capelli lunghissimi e con delle mani che erano la precisa espressione del suo essere, Scultore. Un artista che fin da giovane ha viaggiato moltissimo, visitando mezza Europa. Nato un giorno dopo il Santo Natale ad Uta in Sardegna, aveva ‘eletto’, nel corso della sua vita, Altavilla Silentina come casa sua. Noi di Battipaglia lo vedevamo spesso, mi è capitato di incontrarlo più volte da Alfredo Perrone, a comprare colori e altri materiali artistici. “Maestro come va?” esclamavo, rispondeva sempre in maniera posata: poche parole, equilibrate, quelle di un uomo che ha fatto della pietra il suo materiale elettivo e cifra riconoscibile nella sua ‘monumentale’ ricerca artistica contemporanea. Ricerca possente ed equilibrata al tempo stesso, aggettivi che descrivono in maniera esatta l’uomo e l’artista, perché da artista vero, Gelsomino viveva nel suo lavoro.
Indubbiamente una delle sue principali virtù è stato lavorare per spazi aperti, nella natura, nelle piazze, in contesti grandi, infatti lascia in eredità numerose opere in spazi pubblici, non a caso nel difficile ‘Mondo dell’arte’ si è dato un gran da fare, lavorando sodo, promuovendo la sua opera e ancor di più ‘difendendola’ con puro orgoglio sardo. La nostra città ha la fortuna di ‘custodire’ ben due sue opere pubbliche, interventi artistici site-specific, così ben ragionati da Casula, che si mimetizzano perfettamente nel contesto e sembrano abitare i luoghi che le accolgono da sempre.
In piazza Giovanni Falcone è collocata l’opera Volto di Natura: un elemento verticale dove è proprio la natura della pietra a suggerirne la forma, una forma allungata che evoca una sorgiva immaginifica, da qui esce l’elemento acqua. Mentre nella frazione di Belvedere, precisamente alla piazza Don Palapuglisi, dinanzi all’omonimo palazzetto dello sport, è possibile ammirare Chiaro e scuro della vitalità dedicata ai “Caduti sul lavoro”, altro monumentale esempio della sua arte scultorea.
Se non sbaglio era il 2005, avevo appena vent’anni, quando ho incontrato per la prima volta le sue monumentali ‘Pietre’, ero probabilmente al primo anno d’Accademia, in cerca di spunti, ispirazione, insomma alla ricerca d’arte nella nostra disgraziata palude artistica salernitana, e incontrai nel Parco del Mercatello di Salerno, prima una scultura, poi un’altra, poi una terza, ed erano sempre più grandi, maestose! Immense sculture in pietra che creavano delle presenze fantastiche in una villa così verde e così ben tenuta, dove l’osmosi tra natura dell’uomo e natura dell’arte fu esemplare. Quelle opere, non vorrei sbagliarmi, rimasero anche oltre la fine della mostra e tornai a guardarle a più riprese, perché mi incuriosirono tantissimo, e fui felice che a distanza di tempo nessuno le aveva danneggiate, nessuno ci aveva scritto su, perché in realtà la bellezza della sua arte, generava -e genera ancora oggi-, un profondo rispetto. Concetto in totale disuso al giorno d’oggi.
Ciao Gelsomino, sono molto contento di averti conosciuto, ora guardi lo spazio da un altro punto di visuale, un spazio altro, pur sempre essenza dalla tua natura, della tua scultura, “per guardare…”, proprio come dicevi tu.