La Cassazione conferma la condanna ad otto mesi di carcere, con pena sospesa, per un operaio ritenuto responsabile della morte di Alberto Lecce, folgorato in un cantiere di Bellizzi otto anni fa.
Una manovra azzardata che avrebbe causato la morte di Alberto Lecce, l’imprenditore 39enne morto folgorato nel 2013 nei pressi d’un cantiere edile a pochi passi dall’aeroporto “Salerno-Costa D’Amalfi”. La Corte di Cassazione non fa un passo indietro e conferma gli otto mesi di condanna con pena sospesa per uno degli operai, difeso dall’avvocato Orazio Tedesco, presenti quel maledetto 18 aprile di 8 anni fa. La sentenza, pronunciata lo scorso 27 maggio, ha sostanzialmente confermato quello che aveva già stabilito la Corte d’Appello di Salerno nel 2019 quando i giudici di corso Garibaldi riformarono la sentenza d’assoluzione annunciata dal Tribunale di Salerno. «Omicidio colposo con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro».
Alberto Lecce, lavoratore della ditta Nadi srl, residente a San Vito di Montecorvino Pugliano, ma molto conosciuti a Bellizzi, si recò sul cantiere come tutte le mattine per dirigere i lavori. Il 18 aprile, però, non fece ritorno a casa. Fu trasportato prima d’urgenza all’ospedale “Santa Maria della Speranza” di Battipaglia, e poi al “Cardarelli” di Napoli, dopo essere stato colpito da una violenta scarica elettrica. Il tentativo di rianimarlo fu inutile: il cuore di Lecce smise di battere il giorno dopo. Si aprì un’inchiesta. Secondo i giudici la morte del 39enne si sarebbe potuta evitare. In occasione d’una manovra di getto di calcestruzzo effettuata con un’autobetonpompa, un mezzo che consente il trasporto e il pompaggio del calcestruzzo, in prossimità di una linea elettrica ad alta tensione, il braccio meccanico urtò contro il cavo nudo della linea che, conseguentemente, fu tranciata cadendo al suolo e provocando la folgorazione di Lecce.
“OMICIDIO COLPOSO”: OPERAIO CONDANNATO
L’errore, secondo le toghe romane, è da attribuire al collega operaio che, dopo essersi consultato con Lecce, in merito alle difficoltà ad entrare nel cantiere con l’autobetonpompa, avrebbe posizionato quest’ultima all’ingresso, azionando il bracco meccanico tramite un radiocomando. Inizialmente, il tubo flessibile da cui fuoriusciva il calcestruzzo venne mantenuto con la mano da un altro operaio presente nel tentativo di orientare il getto. Successivamente, il tubo fu preso in mano proprio da Lecce, mentre l’altro lavoratore era intento a stendere il calcestruzzo. E fu proprio in quel frangente che Lecce venne improvvisamente colto dalla scarica elettrica.
La notizia del decesso mise sotto shock le comunità di Bellizzi e Montecorvino Pugliano, dove Lecce era molto conosciuto. Lasciò due figli, all’epoca minorenni, l’ex moglie e la nuova compagna. I carabinieri della compagnia di Battipaglia, a quei tempi coordinati dal maresciallo Giuseppe Macrì, e guidati dal capitano Giuseppe Costa, avviarono le indagini. L’operaio della ditta “Ettore Troisi”, ritenuto ad oggi responsabile della morte di Lecce, fu assolto in primo grado. La Corte d’Appello prima, e la Cassazione dopo, però, hanno ribaltato l’esito della sentenza confermando l’omicidio colposo e una condanna ad otto mesi di carcere con pena sospesa. Il ricorso presentato è stato dichiarato inammissibile dai giudici romani poiché sottoscritto personalmente dall’imputato, in violazione dunque delle norme che prevedono che l’atto venga redatto da un difensore regolarmente iscritto all’albo. Ma anche nel merito, i magistrati hanno chiarito che il ricorso è infondato. La parte civile, in questo caso, è stata difesa dall’avvocato Agostino Allegro e sarà risarcita di circa 5mila euro comprese le spese legali. Oltre otto anni dopo il tragico incidente si chiude il caso.