«L’azienda non intende retrocedere rispetto ai licenziamenti messi in atto dalla Deriblok, ci confronteremo nelle sedi opportune». La risposta glaciale della Deriblok, a seguito della richiesta avanzata lo scorso novembre dai sindacati Femca-Cisl e Ficltem-Cfgil, non apre nessuno spiraglio per i quindici operai “sindacalizzati”, quelli con la tessera in tasca dal 2018. Sei di loro, tra marzo e ottobre, sono stati licenziati perché, secondo la proprietà, avrebbero abusato dei permessi di lavoro ottenuti grazie alla legge “104” per assistere familiari malati. E gli altri nove temono lo stesso trattamento nei prossimi mesi, anche alla luce di assunzioni preventive fatte dall’azienda si presume per sostituire i restanti operai in futuro. Una paura che spinse i quindici lavoratori a organizzare due sit-in di protesta davanti ai cancelli della fabbrica di proprietà della famiglia Cincotti.
Denunciarono decurtazioni in busta paga e demansionamenti. Antonio Apadula (Filctem-Cgil) e Gerardo Giliberti (Femca-Cisl, con il sostegno dei segretari confederali Arturo Sessa e Gerardo Ceres, inviarono una lettera al presidente di Confindustria Andrea Prete chiedendo di ritirare i licenziamenti. Ad oggi, nessuna apertura nei loro confronti. «Non è stato aperto nessun tavolo di trattativa – commentano Apadula e Ciliberti – perché l’azienda non ritiene che i licenziamenti siano illegittimi né discriminatori, nonostante i fatti siano palesi: i demansionamenti e i licenziamenti sono avvenuti solamente nei confronti degli operai con la tessera. E le ritorsioni sono cominciate nel 2018, anno della loro iscrizione. Da quel momento le trattative sono state interrotte».
L’azienda si chiude a riccio e continua imperterrita per la sua strada, nonostante anche la sindaca di Battipaglia, Cecilia Francese, all’epoca chiese un incontro. La risposta? È la medesima. Se ne discuterà, eventualmente, nelle aule dei tribunali. Da parte della “Deriblok” non c’è intenzione di rivedere le proprie posizioni. «Parliamo di lavoratori – chiosano Apadula e Ciliberti – che hanno un curriculum pulito. Non ci sono macchie, non sono malati seriali. Da oltre vent’anni lavorano in maniera esemplare. Ecco perché il nostro sospetto è fondato: la loro unica colpa è che sono iscritti al sindacato». Adesso, le speranze dei quindici operai sono aggrappate a un filo. E alla magistratura.