Il caso Maccaferri continua a tenere in apprensione i 36 operai dello storico stabilimento bellizzese. Le maestranze, scese in piazza a Bologna, il 31 luglio scorso, nel corteo che ha riunito tutti i lavoratori della Maccaferri in Italia, sono appese a un filo.
Il corteo di Bologna, lo scorso 31 luglio, ha riunito gli operai di tutta Italia che, da anni, lavorano all’interno delle aziende di proprietà della famiglia Maccaferri. Un filo conduttore comune che unisce le maestranze di tutt’Italia nella protesta che va avanti da maggio. Lavoratori appesi a un filo. Col rischio, concreto, che possa spezzarsi da un momento all’altro.
Il gruppo bolognese è in guai seri: il crac aziendale sta mettendo a rischio il futuro degli operai, e il silenzio dei vertici dirigenziali preoccupa non poco. Un campanello d’allarme che era suonato il 25 maggio scorso quando, venuti a conoscenza della decisione di vendere i terreni dove insisteva lo storico stabilimento di Bellizzi, gli operai avevano annunciato lo sciopero. Poi, gli incontri con la politica: dal sindaco Mimmo Volpe all’onorevole pentastellata, Anna Bilotti che hanno seguito il caso sin dai primo momenti, fino a Michele Cammarano che ha portato la vertenza sui tavoli regionali lo scorso 24 luglio.
E fino a che punto siano realmente servite queste operazioni, ancora non possiamo saperlo. “Ci vorrebbe un miracolo, un’acquisizione da parte di qualche imprenditore” si legge dalle pagine del quotidiano provinciale “La Città di Salerno”. «Il quadro attuale è tutto chiaro. Sono amareggiato. Dal comportamento degli azionisti della Maccaferri avevo intuito troppe anomalie -spiega Volpe- sulla vendita del ramo d’azienda e sulla ristrutturazione della holding del gruppo Seci Spa. Credo che al gruppo Carlyle proprietario del pacchetto azionario del 96% certe notizie non erano note. Oggi con amarezza apprendiamo dalla stampa nazionale il risultato di una indagine giudiziaria nei confronti dei Maccaferri. Piena solidarietà agli operai bellizzesi».
E dalla Regione, spiegano la situazione di difficoltà di una delle realtà industriale più produttive dell’intera Campania. «Gli ultimi sviluppi anche giudiziari confermano le nostre preoccupazioni originarie sulle cause reali di una crisi che, come previsto, non ha solo risvolti industriali. Le notizie sulle gravi ipotesi di reato avanzate dagli inquirenti – spiega Michele Cammarano – per bancarotta fraudolenta per distrazione e violazione della legge fallimentare non lasciano presagire nulla di buono per gli operai. Sin dall’inizio abbiamo denunciato i comportamenti incomprensibili della direzione aziendale che ci avevano indotti a richiedere un’audizione di in Consiglio Regionale ma anche a interrogare il ministro per lo sviluppo economico. Non è possibile in una regione come la Campania con interi territori a grave rischio idrogeologico perdere questo asset produttivo».