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Il Tribunale di Salerno respinge il ricorso presentato dal direttore sanitario dell’ospedale di Eboli Mario Minervini contro l’Asl. «Non fu mobbing», così ha sentenziato il giudice Anna Maria D’Antonio.

«Non fu mobbing». Lo ha stabilito la sezione penale del Tribunale di Salerno in merito al contenzioso tra Mario Minervini, direttore sanitario del distretto ospedaliero Eboli-Battipaglia-Roccadaspide, e l’Asl di Salerno. E adesso Minervini dovrà pagare l’azienda sanitaria locale della provincia per una somma che il giudice Anna Maria D’Antonio ha liquidato in 3.500 euro più il 15% di rimborso spese. Si è pronunciato così, dunque, lo scorso 24 febbraio, il Tribunale di Salerno rigettando il ricorso presentato da Minervini il 24 novembre del 2019.

I FATTI

La vicenda, però, risale a un periodo ben più lontano. Nel 2013, Minervini comincia a denunciare una serie di episodi definiti «volutamente prevaricatori e ripetuti nel tempo» volti ad estrometterlo dalla struttura organizzativa. La mela della discordia, stando a quanto si legge nella sentenza pubblicata dal Tribunale di Salerno, sarebbe stata un pranzo di strategia politica, al quale Minervini partecipò su invito dell’allora direttore generale Antonio Squillante, «mal condiviso». In seguito Minervini chiese alla direzione generale dell’Asl un reintegro di somme per beni sanitari ed Alpi per un importo complessivo di 582mila euro. Il direttore generale rilevò «degli scostamenti molto significativi e non giustificati rispetto all’importo assegnato», la richiesta dunque di assegnazione di un fondo nettamente superiore agli standard, tale da indurlo a nominare una figura commissariale cui affidare la gestione budgetaria al fine di controllare le spese in maniera corretta, esonerando contemporaneamente Minervini dalla gestione del personale.

mario minervini
Mario Minervini, direttore sanitario

Qualche mese più tardi, sul finire di gennaio 2014, arrivò un procedimento disciplinare nei confronti di Minervini. Il motivo della contestazione? «Aver effettuato un turno di pronta disponibilità nei presidi di Oliveto Citra ed Eboli in violazione delle norme contrattuali e regolamentari». E ancora, le consulenze “senesi”. La collaborazione con l’università di Siena cessò per volere dell’allora direttore generale per dei presunti rapporti di parentela che costò a Minervini un provvedimento disciplinare, la sospensione dal servizio e la privazione della retribuzione per due mesi. Poi, i presidi medici scaduti che, nonostante Minervini predicasse l’estraneità ai fatti, costarono a quest’ultimo 500 euro di multa.

Infine, un richiamo scritto per la mancata trasmissione delle schede di dimissioni, e il demansionamento e trasferimento. Una serie di eventi «vessatori e mortificanti», avvenuti tra il 2013 e il 2015, che indussero Minervini a chiedere un risarcimento per i danni sofferti a causa di questi comportamenti. Non è stato dello stesso parere il giudice Anna Maria D’Antonio, che a termine dell’udienza dello scorso 24 febbraio, ha sentenziato così: «Il ricorso è infondato e non merita accoglimento». In particolare, secondo il Tribunale di Salerno, non è stato possibile dimostrare come persecutori quei provvedimenti che, di conseguenza, sono da ritenersi legittimi.