Il palazzone di via Domodossola, nel pieno centro cittadino, dove sarebbe dovuto sorgere un centro direzionale da 8 piani per 3.305 metri cubi di cemento, non s’ha da fare. Parole die giudici del Consiglio di Stato che hanno scritto la parola fine sullo scheletro di via Domodossola: va abbattuto. È quanto hanno stabilito le toghe romane lo scorso 15 aprile, quando il presidente Vito Poli, e l’estensore Nicola D’Angelo, hanno accolto l’appello del Comune di Battipaglia accertando la legittimità del diniego di proroga e la conseguente ordinanza di demolizione che adesso l’Ente di piazza Aldo Moro dovrà infliggere. La vicenda infinita volge al termine.
In bilico tra le ruspe che il Comune voleva inviare per abbatterlo e le gru che i costruttori volevano piazzare per proseguire i lavori. Dopo 13 anni di ping pong giudiziario la decisione è stata presa: l’immobile verrà tirato giù. Una vicenda che comincia nel 2008, quando la famiglia De Biase, proprietaria del suolo, ottenne il placet dal commissario ad acta per realizzare il progetto. Nel 2010, un decreto del Gip fermò tutto e il cantiere fu sequestrato. Rimase in sospeso, la vicenda, fino al 2015 quando arrivarono le condanne in primo grado per i proprietari. Tre anni più tardi, nel 2018, la sentenza fu riformulata in sede d’appello e gli imputati vennero prosciolti.
La Corte d’Appello di Salerno ordinò la restituzione ai legittimi proprietari, ma nel frattempo la srl che s’occupava dei lavori finì nelle mani della Curatela fallimentare e comprata da una società di Gennaro Lanzetta, che, nel 2019, rivendicò il diritto a riprendere i lavori dopo il dissequestro. Il Comune s’oppose, ma il Tar gettò un colpo di spugna sul diniego sottolineando che «i termini non potevano considerarsi scaduti ma andavano calcolati dal dissequestro in poi». Successivamente, il Comune, assistito dal legale Sabato Criscuolo, e coadiuvato dall’associazione “Fare Ambiente”, assistita dallo studio legale “Lanocita”, impugnò la sentenza in Consiglio di Stato. Il motivo? La «compromissione delle scelte pianificatorie comunali in difetto delle misure minime di arre a standard urbanistici».
La richiesta di Giovanni Lanzetta, figlio del “re del cemento” Gennaro, vide il diniego anche da parte del settore Tecnico: il dirigente Carmine Salerno, e l’ingegnere Carmine Potolicchio, risposero picche: «Il permesso di costruire per il quale vi è istanza di proroga e voltura è affetto, in modo palese da profili di illegittimità» scrissero i due. Ieri, la sentenza è stata pubblicata: il Consiglio di Stato ha accolto la richiesta del Comune. E il palazzo andrà abbattuto. Soddisfatto l’avvocato Ferdinando Belmonte, responsabile nazionale del settore legale di Fare Ambiente: «Il Consiglio di Stato ha salvaguardato il principio di legalità amministrativa, in favore degli interessi della collettività, che deve prevalere sempre e comunque sugli interessi dei privati. Un sentenza di buon auspicio per il futuro».