Una lotta continua contro i dogmi della società, contro un paesino fatto d’apparenze e una società bugiarda e crudele. Una vita analizzata a quaranta metri d’altezza, sul cornicione d’un palazzo, prima di volare giù: ecco “Lui“, romanzo di Andrea Mattioli
«L’onestà probabilmente non è dolce miele, ma acida e amara come la cocaina. L’onestà è scadente e puzza di muffa. L’onestà è un vomito giallo il cui odore dà fastidio a tutti» si legge in un passaggio di “Lui“, opera di Andrea Mattioli, edita da Book Road e data alle stampe ad agosto del 2022. Un libro la cui trama cattura sin dal principio: il protagonista si trova a quaranta metri d’altezza, mentre seduto su un cornicione, medita sulla propria esistenza e sulle ragioni che lo porteranno, da lì a breve, a compiere un estremo gesto. Ne emerge un racconto violento, rabbioso e spietato, che non lascia tregua alcuna al lettore.
Proprio l’onestà a cui si faceva riferimento in apertura è una delle caratteristiche portanti del romanzo. Il protagonista sputa fuori dai denti – e non solo metaforicamente – tutto il risentimento verso i dogmi di una società in cui non è mai riuscito a riconoscersi e verso cui, ad ampie bracciate, ha sempre nuotato controcorrente, talvolta però rimanendo vittima delle sue onde.
L’essere a tutti i costi o l’essere anche solo per finta: «Mi vedevano come un quadro di Botticelli, bellissimo e da mettere in mostra. Il paese era un museo e io avevo il ruolo di un dipinto da mostrare, ero uno dei tanti appesi di fronte al giudizio della civiltà? Ma ero appeso per il collo, come un impiccato». Il protagonista di questo racconto, tra le sue pagine, ne ha per tutti: per la finzione che si cerca di celare dietro alcuni rapporti amorosi, per la religione e tanto altro. Proprio all’amore il protagonista dedica alcuni tra i pensieri più emotivamente coinvolgenti di quell’analisi a cuore aperto sul tetto d’un palazzo. Pensa a Viola e a quella relazione che gli fece scrutare quel sentimento.
«Abbiamo ballato, letto libri insieme, fumato qualche canna. Poco dopo ci siamo promessi amore eterno […] sofferto quando lei è andata all’università a Firenze, ci siamo promessi che non ci saremmo mai lasciati, abbiamo vissuto i nostri silenzi, abbiamo ascoltato la nostra vita cambiare, mutare e perdere la noia dell’imprevedibile. Abbiamo visto i nostri messaggi che diventavano sempre meno, abbiamo sofferto insieme la fine della storia davanti a una bottiglietta d’acqua e un tè al limone. Abbiamo pianto fino a terminare le lacrime. La voglia di riscriverci, i baci dati ad altre persone mentre immaginavamo che fossimo ancora io e lei, il dolce parlare di noi da ex, il rivedersi dopo mesi in una serata con amici in comune, non salutarsi, averne paura. Capire che la vita aveva vinto. Questo è tutto ciò che conosco sull’amore».
Il dipinto realizzato da Andrea Mattioli non risparmia parole al veleno e critiche ad alcuni aspetti sociali di strettissima attualità. In giorni in cui tanto si discute sul concetto di “gogna”, lo scrittore, attraverso le parole del protagonista di “Lui“, la mette spalle al muro: «Il dramma di questo secolo, lo schifo di ogni persona, la merda che ci farà affogare tutti. La gogna. […] la piazza che ti punta il dito, che ti condanna a morte, che gode della tua sofferenza, che non accetta la tua idea ma si bea della tua esecuzione. Eccola qui la società, il pericolo, la fine. Il male della società da sempre è solo uno e uno soltanto, la berlina sulla pubblica piazza. Ora siamo diventati ancora più codardi e ci siamo spostati nell’etere, ma il male della società rimane. Date alla gente Gesù e Barabba e la gente sceglierà sempre Barabba».
“Lui” è un romanzo che alza i toni della voce per la quasi totalità delle sue pagine. Di certo alcuni lettori potrebbero trovare quei decibel troppo alti per i propri apparati uditivi. Altri potrebbero anche sentirsi additati dalle critiche che l’autore, nel racconto scritto, solleva. Di fatto però Andrea Mattioli ha saputo mettere nero su bianco i pensieri che si celano nella mente di molti, con la differenza che alcuni trovano il coraggio – a volte l’audacia – di spingerli fuori dalle pareti della testa, con gli occhi puntati verso la libertà. Quella libertà disperatamente ricercata, anche quando è rappresentata dal duro asfalto, osservato da quaranta metri più su.