Francesco Pannofino ha fatto ieri tappa al Giffoni Film Festival per incontrare i giovani della sala Impact: “Venire a Giffoni, tra l’affetto e la gratitudine dei giovani, mi dà un’energia particolare“
“È bellissimo stare qui. Vedere questi bei giovani che mi guardano con amore, affetto, gratitudine mi dà una grande forza. Venire qui a Giffoni, perché ci sono già stato, mi dà un’energia particolare. Se i giovani mi guardano con amore vuol dire che ho dato qualcosa: se non dai niente non ricevi niente”. Francesco Pannofino fa il pieno di complimenti e applausi nell’incontro con i giffoners della Impact! L’attore e doppiatore – voce, tra gli altri, di George Clooney e Denzel Washington – parla dei suoi esordi, della “fatica” che c’è dietro al suo mestiere, del successo della serie Boris.
Non manca un accenno allo sciopero di autori e attori in corso a Hollywood: “Seguo la protesta dei nostri colleghi americani perché sembra che l’Intelligenza artificiale possa sostituire sia gli scrittori che gli attori. Ad esempio, nel doppiaggio si può campionare la voce e poi usarla – spiega – ma sempre la mia voce è. Quindi ci vuole una legge che possa governare il tutto. È impossibile fermare il progresso tecnologico e non è quello l’intento, ma governarlo è necessario. Rubare l’aspetto o la voce di una persona è un furto”.
L’attore, stimolato dalle domande dei giffoner, ripercorre l’inizio della sua carriera: “Alleggerire la vita alle persone con la comicità? È una gioia. È il motivo per cui ho fatto questo lavoro. Da ragazzino – racconta – ero portato per questo mestiere, ero sempre in mezzo alle esibizioni. Allora ci ho provato. Non è facile, e bisogna provarci quando si ha a vostra età – dice ai ragazzi – Questo lavoro si impara da giovani perché da giovani si ha la vita davanti. Io ho iniziato a 19 anni e non mi sono più fermato”. Ma come ci si prepara al mestiere dell’attore? “Più esperienze si fanno e meglio è. Io non ho fatto nessuna scuola, ma questo non vuol dire che sia un esempio da seguire. Bisogna sentire dentro se stessi se si è portati o no. Lo si sente dentro sé, quando si è sul palcoscenico, ci si sente o no a proprio agio. Se uno non si senti a suo agio è meglio che cambi mestiere. Ci sono scuole che possono insegnare la tecnica, ma il talento è altro”. E ancora: “All’inizio nessuno è un genio, però il talento si riconosce subito. Bisogne dimostrare sul campo di avere delle qualità. E poi c’è la componente fortuna, che da sola non basta ma ci vuole. Fare l’attore è un lavoro faticosissimo. È massacrante fisicamente”. Il consiglio che dà a chi vorrebbe intraprendere la strada della recitazione è chiaro: “Innanzitutto, un aspirante attore deve fare tutto quello che capita di fare e dimostrare di saperlo fare. Qualsiasi cosa, anche piccola, va fatta al meglio delle possibilità. Anche due battute. Sapeste quante ‘due battute’ ho fatto all’inizio. Poi le cose sono cambiate”.
Tante le curiosità dei ragazzi della Impact! sulla serie Boris. “Alcuni meccanismi che si vengono a creare in Boris coincidono con la realtà – racconta Pannofino – A volte, sulla scenda di Boris si faceva fatica a distinguere il set vero dal set finto”. L’attore, che nella serie e poi nell’omonimo film ha interpretato il ruolo del regista René Ferretti, ricorda il ritorno sulle scene per la quarta stagione della serie: “La quarta serie è nata sulla scorta di un meccanismo commerciale. Cioè, le vecchie serie sono state ritrasmesse durante il lock down, quindi ci siamo ritrovati a riavere successo senza fare niente. Il primo giorno che ci siamo visti sul set dopo tanti anni – ricorda – era come ci fossimo salutati il giorno prima. Non c’è stata retorica. L’atmosfera era la stessa, identica, di quando avevamo lasciato. Eppure alcuni di noi non c’erano più”. Quanto al suo personaggio, non nega che Renè gli abbia “dato molto. René non è che sbaglia. Lui vorrebbe fare cose di qualità, ma non glielo permettono. René ci prova e dimostra in alcuni casi di fare le cose bene”.
Pannofino parla anche del mestiere di doppiatore (“il doppiaggio è il settore del mio mestiere più difficile”, confessa) e di come sia cambiato, tra pro e contro, dopo la pandemia. Non nega che il personaggio più difficile da doppiare sia per lui stato Rosso Senzabraghe della serie animata statunitense Mucca e pollo. E racconta del rapporto che si crea con gli attori doppiati: “Quando entri nel corpo di una persona con la voce e ne segui la carriera, poi lo senti quasi come un parente”. Diverso il rapporto con la propria voce: “All’inizio mi emozionavo a sentire la mia voce. Adesso non ne posso più. Se arrivo a casa e, nell’accendere la tv, mi imbatto nella mia voce, cambio canale”.