Chi sperava che aprendo le finestre davanti al nuovo anno potesse respirare un’aria fresca e nuova è rimasto fortemente deluso. Il fetore con cui si è chiuso l’anno, incessante si è manifestato nel nuovo, spegnendo le illusioni di quanti speravano nel miracolo di capodanno. Un decennio che si chiude male, molto male, per la nostra città.
Se nella memoria collettiva gli anni cinquanta sono ricordati per la ricostruzione postbellica e la rinascita della città – che ha poi visto nel finire del decennio successivo il primo consistente scossone economico e sociale -, gli anni 10 del nuovo millennio hanno visto invece il più pesante rallentamento nello sviluppo di Battipaglia.
La storia recente della città, dal dopoguerra ad oggi, sembra un lungo inesorabile declino: dagli anni ’70 con lo sviluppo industriale, all’opulenza cementizia degli sfavillanti ’80 (tra colpi di pistola e fiumi di eroina), e poi il decennio del ’90, con le prime cadute, scandali e ruberie, per finire con agli anonimi anni 2000, della stagnazione e dell’instabilità politica.
E il novantesimo anno dalla fondazione – con la rilevante ricorrenza del cinquantenario dai moti del ’69 – trascorso tra puzza, roghi, chiusure di fabbriche e generale impoverimento del tessuto economico.
A raccontare questo declino non è (solo) la percezione degli abitanti, ma anche l’Istat, che racconta con la freddezza dei numeri una città che nel decennio appena concluso ha visto un invecchiamento medio della popolazione del 50%: come riporta l’Istat nel 2011 in città risiedevano tanti over65 quanti under14, il dato al 2019 racconta che per ogni 100 giovani ci sono 149 anziani. In aumento anche il dato di mortalità, che sale dal 7,6 al 9,3 ogni mille abitanti, certo diretta conseguenza del dato precedente, ma che resta comunque inquietante. In calo tutti gli indici legati alla natalità, che passa da 9 a 7 nati ogni mille abitanti, in soli dieci anni.
Un giro di boa, dunque, con l’acqua alla gola e il fiato corto.
Eppure, uno sforzo per ricercare qualcosa di buono va fatto. E la nota di positività va cercata proprio lì dove la notte sembra più scura e senza speranze.
La capacità di mobilitazione, il desiderio di partecipazione, la voglia di essere insieme protagonisti della resistenza, e del rilancio, della propria città. Forse è lì che va cercata la luce. La marcia nella pioggia del 6 dicembre, senza vessilli, bandiere o gonfaloni, può essere vista come il desiderio, diffuso e pressante, di invertire la rotta. Un movimento dal basso, che possa attraversare la comunità, partendo dalla difesa della salute e dell’ambiente per arrivare ad invadere e contaminare tutti gli spazi della società.
L’anno appena iniziato ci dirà se questo sentimento riuscirà ad irrobustirsi e a moltiplicarsi, diventando magari bello e colorato come l’Albero del domani di Umberto Vota, o se invece sarà solo l’ennesimo fuoco fatuo a cui da troppo tempo siamo abituati.