“Ma non avranno vinto, fino a quando uno solo farà resistenza, fino a quando sogneremo la comunità della bellezza e dell’innocenza.”
(F. Arminio)
Esattamente una settimana fa, poco dopo l’ora di pranzo, prendeva fuoco il deposito di Ecoballe della New Rigeneral Plast, sulla zona industriale di Battipaglia. L’azienda, riconducibile alla famiglia Meluzio – che già due anni fa, a pochi metri di distanza, aveva visto bruciare un proprio sito di stoccaggio e trasformazione di rifiuti – era stata destinataria, come si sa, di un’ordinanza di sgombero, più volte prorogata, fino allo scoppio dell’incendio.
L’episodio si somma e completa la sequela infinita di disastri che vedono protagonista la nostra città da almeno 20 anni. Depositi di pneumatici, piccole e grandi discariche, siti di stoccaggio, ecoballe, in città primo o poi qualcosa va a fuoco. E siccome va escluso che esista un piromane seriale di rifiuti, l’idea che dietro questi roghi ci siano interessi criminali sembra essere del tutto scontato.
Così come, e duole dirlo, risulta del tutto inefficace l’azione delle amministrazioni pubbliche (a tutti i livelli) e delle forze di polizia e giudiziarie di fermare questa orribile e funesta piaga.
Certo, il fenomeno non riguarda solo la nostra città o la nostra regione: nel 2018 ci sono stati oltre 250 incendi in tutta Italia a siti di stoccaggio, impianti di lavorazione, depositi di ecoballe, discariche (la maggiore concentrazione in Campania, Sicilia, Lombardia, Lazio e Toscana).
Uno ogni 32 ore: una “guerra dei rifiuti”, che non fa rumore, ma uccide allo stesso modo di un conflitto.
Tornando a noi, appare del tutto evidente che un territorio che vede la presenza di oltre 40 aziende che “trattano” a vario titolo e in vario modo rifiuti non può restarne esente, ma anzi fa credere, con gli scongiuri del caso, che quello di sabato scorso non sarà l’ultimo incendio che dovremo subire.
La sciagurata idea – mai peraltro annunciata, ma nei fatti realizzata – di far diventare la città di Battipaglia un polo dei rifiuti ha origini lontane e ragioni diverse. Senza voler tracciare una cronistoria del disastro, chi vi scrive partecipava alle manifestazioni contro discariche e inquinamento in questa città già alle scuole elementari. Segno che in trent’anni si è potuto solo peggiorare. Ma più interessante è capire il perchè si sia scelto, nel tempo, di allocare qui un così ampio numero di impianti di trattamento rifiuti, pubblici e privati. Certo, la scelta di insediare qui l’allora impianto di Cdr, oggi Stir, ha fatto da apripista per tanti privati a creare un “indotto della monnezza” proprio a ridosso dell’impianto principe per il trattamento rifiuti.
Ma ci sono ragioni altre, più politiche e sociali, se vogliamo, che riguardano la classe politica, una certa imprenditoria e la cittadinanza tutta.
Se dal ’94 ad oggi nessun sindaco è riuscito a portare a termine il proprio mandato, se si contano sulle dita di una mano gli esponenti battipagliesi che hanno ricoperto ruoli di responsabilità nella politica sovra comunale (parlamentari e consiglieri regionali), i risultati poi non possono che essere questi. La debolezza della classe politica cittadina, rissosa, conflittuale, ripiegata agli interessi di pochi, spesso espressione diretta (quando non direttamente a libro paga) di signorotti locali e piccoli potentati economici pronti a portar voti al miglior offerente, purché forestiero, diventa di certo uno dei principali elementi facilitatori della svendita di un territorio.
Dall’altro lato, agisce con pesanti conseguenze un’imprenditoria spesso senza scrupoli, che usa la politica e il territorio come pedine per aumentare il proprio fatturato e i propri guadagni. E chi se e frega se ci respiriamo aria di morte, e se quell’aria se la respirano anche i loro figli e alle vote succede pure che si ammalino, insieme a noi. Quando durante un processo per sversamento di rifiuti in mare nel Golfo di Napoli ad uno degli imputati fu chiesto se non avesse scrupoli per aver devastato il mare della sua città, lui rispose che andava a fare i bagni ai Caraibi. Ecco più o meno è questo il concetto.
Infine ci siamo noi, piccoli ma necessari ingranaggi del “sistema”, che ci usa a suo piacimento lasciandoci afferrare di tanto in tanto qualche briciola, come una cavia da laboratorio con la sua caramella. Briciole che possono essere le più disparate: una camera singola in ospedale per un nostro famigliare, un permesso a costruire in tempi brevi, un certificato di invalidità ottenuto chiudendo un occhio, un contrattino in un call center per nostro figlio che è stato sfortunato e a 40 anni vive ancora con mamma e papà. Piccole esigenze, lecite e non, che ci rendono ricattabili, deboli e ossequiosi. Per le quali si ricevono telefonate a ridosso delle elezioni, e che importa se il candidato deve stare lì solo per scaldare la sedia e tenere in piedi la baracca, o se nemmeno conosce la differenza tra una delibera e una determina.
Il sistema del diritto che diventa favore, la connivenza elevata a modus vivendi, che alla fine arriva come una madre premurosa a coprire con un lenzuolo ogni dissenso e voglia di riscatto.
Allora la domanda da porci, tutti, collettivamente è questa.
Saremo in grado la prossima volta di dire No? Diremo “basta” al candidato che ci propone in cambio del voto un aiutino per lavorare due mesi in fabbrica?
Ci gireremo ancora dall’altro lato al prossimo incendio? Chiuderemo ancora la finestra quando la puzza di una città in stato di putrefazione diventerà intollerabile anche alle nostre corrotte narici?