di Antonio Vacca
Un mese fa è scomparso Antonio Verdoliva; mi viene affettuosamente di ricordarlo, anche come uno fra gli ultimi burocrati battipagliesi (certo, d’adozione, come sovente in questa municipalità con meno d’un secolo) del campo agronomico. Che pareva la vocazione naturale: per questo Comune – come s’ode ad ogni pie’ sospinto – capofìla della Piana del Sele, territorio assolato ed ubertoso come pochi nel continente. Nonostante la scelta, sviluppata nell’ultimo ventennio, di renderlo sì capofila, ma in materia di ‘Monnezza’.
Torniamo all’agronomia; branca, dicevamo, non casuale qui a Battipaglia, zona calda della Riforma Agraria maturata all’inizio degli Anni ’50 (sotto il Ministero Segni, poi Fanfani: epoca degasperiana) coi millanta poderi assegnati, un territorio ortofrutticolo fertile, l’Ente Riforma diretto da Marianini (giunto dal Friuli), la Concooper ‘braccio’ industriale, i dirigenti Manzo e Speranza, una schiera di funzionari provenienti in parte da Toscana o Umbria, terre più avanzate nella programmazione agroalimentare e, poi, agrituristica. Su questo sfondo geoculturale (come tale citato), ancora impregnato di spirito terriero – e non ancora esperto di miasmi battipagliesi – conobbi Verdoliva negli anni Novanta, io nutrizionista con propensioni mediatiche, lui “anima” dell’Ispettorato Agrario, struttura provinciale che spesso mi coinvolgeva in eventi e convegni.
Mi chiedevano prevalentemente d’illustrare virtù dietologiche dei prodotti di punta nell’alimentazione territoriale: compito facile; parlare di pomodoro, altri ortaggi eletti ed olio d’oliva, a due passi dalle colline che partorirono il miracolo antropico della cosiddetta Dieta Mediterranea, era, come per un giornalista sportivo spiegare i pregi ciclistici del cannibale Eddy Merckx o, successivamente, quelli pedatori del Barcellona di Leo Messi. Trascorsero anni di grande, particolare attenzione all’olio, emblema dell’entroterra salernitano, ove però ancora vigeva un approccio colturale ed estrattivo patriarcale, tutto chiuso nel dogma della genuinità, che tendeva talora a risultare inopportuno nei termini della qualità e sicurezza alimentare, soprattutto di marca europeista: bisognava che il prezioso e salubre condimento divenisse il totem dell’alimentazione contemporanea che ancora regge.
In questo, l’Ispettorato molto s’adoperò (come l’Assessorato provinciale all’Agricoltura) e furono molteplici gli appuntamenti di buon valore conoscitivo e comunicativo: urgeva convincere consumatori e, massimamente, produttori, che il futuro era la scommessa sull’Extravergine di qualità. Rammento il rigore del Prof. Sacchi, le brillanti sortite dell’assaggiatore Gaetano Avallone, fra le tante figure protagoniste di quel percorso programmatico e scientifico.
Verdoliva, sobrio e pacato, era per me, relatore o ascoltatore che fossi, riferimento d’esperienza e confronto. Culminarono, per certi aspetti, quei momenti, nelle conferenze che mi furono affidate ai Convegni istitutivi delle due Dop provinciali. Così, parlai, contornato di tecnici e politici, al Centro Sociale di Salerno dove suggellammo il marchio ‘Colline Salernitane’ ed al Villaggio Tortorella (Casalvelino) per il “brand” Cilento. Era arrivato il terzo millennio. Rivango, un paio d’anni dopo, una serata al Cinema Bertoni; l’istrione dell’enogastronomia televisiva provinciale, Enzo Landolfi, conduceva una delle puntate del format Dilandolf, tanti ospiti, io parlavo d’un mio saggio breve, ad un certo punto l’intervista a Verdoliva: Landolfi, manco a dirlo, gli chiese delle nuove sigle del settore agricolo, acronimi spesso sghembi ed un po’ enigmatici.
Verdoliva, con flemma e sintesi, precisò che si trattava sempre del vecchio Ispettorato Agrario, suddiviso amministrativamente in Stapa e Cepica. La prima struttura, di carattere più tecnico, la seconda – che Verdoliva s’onorava di dirigere – dedita alla consulenza e informazione in agricoltura. Insomma, era quella, si direbbe oggi, la mission. Senza indugiare nella trappola emotiva del come eravamo, rammento poi un aspetto più simpaticamente umano. La grande stima che tanti agricoltori mi sembrava denotassero per Antonio Verdoliva; fin quando abbiamo condiviso un incontro, anche con una microcomunità rurale, pure quando era in pensione, ma ci recavamo a qualche appuntamento spinti da passione non sopìta, per tutti quegli operatori Verdoliva era, rispettosamente, ‘Onnantònio, come capita nel gergo che ci è caro per quella elisione del dialetto che s’italianizza in deferenza. Ecco, adesso che quegli anni s’allontanano, ora che questa Cittadina viene (ma non si capisce poi bene, fino in fondo) ‘graziata’ da Provincia e Regione, nel senso che pare non saremo ancora obbligati a stoccare rifiuti tossici nelle nostre abitazioni, secondo una stima per metratura e nucleo familiare, ecco: in momenti come questi penso ancora con più affetto a uomini come ‘Onnantònio.