Il Comune ricorre in appello al Consiglio di Stato per lo scheletro di via Domodossola. La vicenda infinita, che continua dal 2008, potrebbe giungere all’epilogo nel 2021. Ma i costruttori non ci stanno e rivendicano la possibilità di riprendere i lavori.
Il palazzone di via Domodossola in bilico tra le ruspe che il Comune vorrebbe mandare, e le gru che i costruttori vorrebbero piazzare per proseguire i lavori. Il ricorso in Consiglio di Stato presentato dall’Ente, difeso dal legale nocerino Sabato Criscuolo, è l”ennesimo capitolo d’una saga infinita, quella dello scheletro di via Domodossola dove, nel 2008, sarebbe dovuto nascere un centro direzionale da 8 piani per 3.305 metri cubi di cemento nel pieno centro della città.
I FATTI
Tutto comincia nel 2008, quando i proprietari del suolo, i De Biase, ottennero dal commissario ad acta il placet per realizzare un centro direzionale. Nel 2010, un decreto del Gip fermò tutto: il cantiere fu sequestrato. E nel 2015 arrivarono le condanne per i proprietari. Nel 2018, quando la sentenza fu riformata e gli imputati prosciolti, le toghe ordinarono la restituzione ai legittimi proprietari, ma nel frattempo la srl che s’occupava dei lavori finì in mano alla Curatela fallimentare e fu acquistata dai Lanzetta. Che nel maggio del 2019, ritenendo d’aver conseguito, insieme al dissequestro, il diritto a riprendere i lavori, chiesero la proroga. Il Comune s’oppose, ma il Tar gettò un colpo di spugna sul diniego del Comune, ricordando che i termini non potevano considerarsi scaduti, ma andavano calcolati dal dissequestro in poi. E, sempre secondo i giudici amministrativi di primo grado, l’ufficio tecnico non poteva neppure procedere ad un annullamento del titolo edilizio rilasciato da un commissario ad acta.
«La pronuncia di decadenza per mancata presentazione di una formale istanza di proroga del permesso di costruire antecedentemente al 13/11/2011 è viziata perché non considera in alcun modo il factum principis rilevato nel giudicato formatosi sulla sentenza di questo Tribunale» si legge nella sentenza della Seconda sezione salernitana del Tar, presieduta dal giudice Nicola Durante. Tradotto dal linguaggio giuridico, equivale a dire: quel provvedimento è sbagliato.
APPELLO AL CONSIGLIO DI STATO
Nella memoria difensiva presentata dall’avvocato del Comune si punta tutto sulla «compromissione delle scelte pianificatorie comunali in difetto, per giunta, di un livello adeguato di urbanizzazioni». Un permesso a costruire che supererebbe di 600 metri cubi l’indice di fabbricabilità fondiaria e l’indice di copertura previsto dal vigente Piano regolatore. Che s’aggiunge ad altri vizi di procedura. Un provvedimento che vide il diniego da parte del settore Tecnico. Il dirigente Carmine Salerno, e il responsabile del procedimento, l’ingegnere comunale Carmine Potolicchio, dinanzi alla richiesta di Giovanni Lanzetta, figlio del “re del cemento”, Gennaro Lanzetta, che nel 2017 prese il posto della madre Adalgisa Rinaldi al comando della srl “Servizi e Sviluppo”, risposero picche: «Il permesso di costruire per il quale vi è istanza di proroga e voltura è affetto, in modo palese da profili di illegittimità» scrissero i due. Adesso la parola passa ai giudici, che entro il 2021 potranno porre fine a tredici anni di ping pong urbanistico e giudiziario.