di Enzo Castaldi
“Stai a casa”: esempi di terrorismo psicologico e frustrazione
È giovedì sera e la signora Antonia sta tornando a casa in bici con la sorella – mantenendo da questa la distanza di sicurezza – dopo una giornata massacrante di lavoro. La quarantena vale per tutti ma non per lei, costretta a lavorare per via del suo ruolo. Già nelle sere successive si era sentita urlare dai balconi disseminati lungo il tragitto che separa la sua abitazione dal luogo di lavoro imprecazioni varie ma classiche del periodo in cui viviamo: “Vai a casa! Devi stare a casa!”, eppure Antonia sta solo tornando da lavoro. Probabilmente non trova opportuno rispondere alle isteriche grida, siamo tutti frustrati e costretti alla reclusione ed adattarsi alla situazione non è semplice. La sera successiva, mentre sta organizzando davanti al luogo di lavoro la disinfezione dei locali, una secchiata d’acqua lanciata dal balcone la raggiunge e giù le solite imprecazioni che ormai sono diventati riti. Antonia torna a casa e si sfoga su facebook, è una farmacista che svolge il suo lavoro di tutela della salute pubblica.
In questi giorni su facebook e su whatsapp girano divertenti video e meme di donne e uomini fuori ai balconi che fotografano o sbeffeggiano con imprecazioni talvolta violente malcapitati passanti che portano in giro il cane oppure che stanno andando a fare la spesa. Sia chiaro, la situazione presta il fianco al panico collettivo e i continui – sempre leciti? – bombardamenti dei media sul covid-19 nonché la spettacolarizzazione e talvolta drammatizzazione dei fatti possono innescare un meccanismo di frustrazione e talvolta di rassegnazione e la violenza verbale è dietro l’angolo, soprattutto per soggetti atavici e tendenzialmente egoisti: “perché ‘io’ sto facendo il sacrificio di stare in casa mentre ‘tu’metti a rischio la salute pubblica andandotene a zonzo? E che sono fesso io?”
Comportamento poi legittimato dai continui richiami allo “stare a casa”, violenza verbale giustificata anche da molti politici anche di rilievo nazionale.
Qualche giorno fa il comandante Alfa, il capo in pensione delle teste di cuoio dei carabinieri, ha attaccato il governo e gli strati “passivi” della società – dalle sardine ai centri sociali, dalle conduttrici tv “con le gambe accavallate” ai politici che cantano indegnamente l’inno di Mameli – con un post pieno di zeppo di pericolose dietrologie eversive. Ha richiamato una “guerra” che guerra non è perché il nemico è invisibile e privo di un corpo, ha invocato l’esercito, la chiusura di tutti i confini in quello che pare essere ormai un classico chiacchiericcio di massa “da bar” trasferito sui social per le note problematiche. Sia il ministro della difesa che l’arma hanno preso le distanze, ma questo linguaggio usato da un personaggio pubblico ed influente in certi ambienti, è stato condiviso in massa creando inevitabilmente opinione pubblica. Dal 21 Marzo ad oggi leggo più di diecimila condivisioni che equivalgono ad una enormità di visualizzazioni di persone che ora si sentiranno legittimate ancor di più ad utilizzare un linguaggio violento contro certi strati e categorie sociali tra cui per esempio i moderni “runners”, considerati alla stregua di pericolosi malviventi ed agenti di diffusione del virus nelle città spopolate.
Lo stato di “eccezione”
Con il decreto-legge numero 6 del 23 febbraio scorso, il Presidente Conte ha emanato un decreto diverso da tutti gli altri: uno strumento di legislazione di emergenza e d’urgenza previsto dalla nostra Costituzione, all’articolo 77, che consente, in casi straordinari, che la funzione legislativa non venga attivata dal parlamento ma dal potere esecutivo. In risposta molti – tra cui Agamben – hanno parlato di “stato d’eccezione”. Con il termine “stato di eccezione” che implica anche “pieni poteri”, si fa riferimento al fenomeno per cui si ampliano i poteri dell’esecutivo, conferendogli la facoltà di emanare decreti aventi forza di legge. Tuttavia, l’espressione “pieni poteri”, indica soltanto una modalità di azione del potere esecutivo durante la vigenza dello stato di eccezione, ma non coincide semanticamente con questo. In effetti per stato di eccezione Agamben intende, grossomodo, una sospensione dell’ordine costituzionale vigente o almeno di un suo segmento significativo, effettuata da parte della stessa autorità statale che dovrebbe essere normalmente garante della legalità e del suo rispetto.
Tuttavia – sempre secondo Agamben – l’ autore che ha fatto della teoria dello stato di eccezione uno dei capisaldi della sua riflessione è certamente Carl Schmitt, ed è quindi al suo pensiero e alle sue opere che occorre innanzitutto guardare per cercare una chiarificazione. Il giurista tedesco si occupa esplicitamente del problema in due libri: La dittatura (1921) e Teologia politica (1922). Nel primo dei due testi lo stato di eccezione è presentato come espressione della dittatura, appunto, e quindi evidentemente come una condizione di sospensione del diritto. La dittatura poi è ulteriormente differenziata in “dittatura commissaria”, che ha la funzione di difendere o persino di restaurare la costituzione vigente, e “dittatura sovrana”, che invece si pone come forza costituente di un nuovo assetto giuridico.
Mi sentirei di paragonare la situazione attuale più ad una “dittatura commissaria” che “sospende” di fatto la costituzione per difenderne l’esistenza, in questo caso limitare la libertà di movimento per difendere la salute pubblica.
Ai fini del mio ragionamento non occorre entrare nella questione giuridica dello stato d’eccezione o della sospensione di alcuni diritti per favorirne altri; ciò che mi interessa è come le masse vivono questo “stato d’eccezione” a livello psicologico e nei risvolti pratici e comportamentali.
Il rischio di una deriva autoritaria
La sociologia politica insegna che bisogna sempre dare un nome al nemico, identificarlo per dare un senso di coesione al gruppo. Solo per fare alcuni esempi recenti: per Berlusconi il nemico erano i comunisti, per i 5 stelle la casta, per Salvini i migranti, cioè sempre idealtipi generalizzati con alcune specificità ben precise. Ho mostrato negli esempi sopra che il nemico oltre che virale è carne ed ossa e non ha caratteristiche precise. “Chi gira per strada” è nero, giallo, verde, rosso, il vicino di casa, la farmacista, il netturbino, può essere dunque chiunque e va combattuto, segnalato, insultato e colpito con secchiate d’acqua. Un nemico totale, una “guerra” assoluta piena di panico, senza razionalità e alimentata da personaggi pubblici – comandante Alfa ma anche altri – e politici di spicco, come detto.
Il governo sta abituando i cittadini a forme di restrizioni sempre più invasive e l’eccezione di una vita priva delle libertà fondamentali rischia di diventare la regola nei risvolti comportamentali perché su di noi aleggia lo spettro della paura della fine.
Anni di linguaggi politici carichi di odio verso l’altro, verso il nemico, verso il “diverso” non hanno fatto altro che sdoganare quello strato d’odio latente che le masse covano, una insoddisfazione che deriva dalle paturnie e vicissitudini quotidiane amplificato dai media verso categorie ben precise.
Non mi sorprendono a questo punto minacce, ingiurie ed invocazioni a stati di polizia permanenti.
Ma chi dovrebbe garantire il rispetto delle regole lo fa sempre in modo a-valoriale?
Pietro stava tornando a casa da lavoro ed erano le 8 di sera circa. Ha avuto l’ardore di allungare il tragitto di poche decine di metri per sgranchirsi le gambe ed è incappato nel fermo da parte dei militari. Ha specificato che tornava da lavoro e che l’orario non dipendeva da lui ma dal fatto che avesse oggettivamente finito tardi di lavorare. In risposta i militari hanno prima iniziato a turno a insistere con la storia del divieto assoluto di uscire di casa, poi quando Pietro ha mostrato dal cellulare il testo del decreto del 9 marzo, smentendoli, hanno cambiato strategia, iniziando a fare la morale e a colpevolizzarlo elencando tutti i frame tossici da terrorismo psicologico di questi giorni: “se tutti facessero due passi le strade sarebbero affollate”, “è colpa di quelli come te se c’è il contagio e la sanità è al limite”, ”sei un irresponsabile”. Per poi passare a per poi passare agli insulti personali: “Noi vorremmo stare a casa e invece dobbiamo stare dietro ai deficienti come te che a casa non ci stanno e diffondono il contagio”, “Rischiamo la vita per voi stronzi”. La storia si conclude con una denuncia da parte dei carabinieri, nel frattempo accorsi sul posto. Circa 10 persone che circondano un soggetto che aveva allungato di dieci metri il tragitto da lavoro a casa.
Nel prossimo consiglio dei ministri (oggi) si è discusso di probabili restrizioni (dalla chiusura dei negozi, alle attività culturali fino agli spostamenti) che potrebbero allungarsi di volta in volta anche fino al 31 Luglio con sanzioni salatissime fino a quattromila euro in caso di infrazioni. Può lo “stato di eccezione” o la “dittatura commissaria” affidare in toto le chiavi dello stato alle autorità militari ed alle forze dell’ordine senza accurate “formazioni comportamentali sulla psicologia dell’emergenza” di questi ultimi rischiando di incappare in abusi di potere continui – come sul caso di Pietro – in quello che somiglierà ad uno stato di polizia con libertà minime con tutori dell’ordine legittimati sia dalla normativa che dal senso comune diffuso?
Il rischio autoritarismo è a questo punto davvero diffuso perché si fondono tra loro elementi normativi, decisionali, di uso legittimo della forza in ultima istanza e di consenso pubblico.
I governi, gli stati, hanno il dovere di limitare questo rischio e il panico collettivo nonché di attuare misure a sostegno del reddito di tutte le fasce sociali senza tralasciare alcuno. La libertà può essere messa da parte per la tutela della salute collettiva, ma il diritto di vivere una vita dignitosa senza il rischio di incappare in sanzioni o pressioni psicologiche/fisiche non è da meno.
La sfida è grande, la più grande dal dopoguerra a oggi e si porta dietro enormi interrogativi. Il rischio più grande è l’autoritarismo ma anche di sviluppare tensioni sociali: il virus covid-19 e la paura che scatena immobilizza le persone nel presente, ma in un futuro più o meno immediato l’abitudine alla paura invoglierà le persone a correre il rischio di infettarsi ed infrangere le regole per vivere una vita dignitosa e ritornare ad una normalità anti-autoritaria. Dare più valore a una vita dignitosa che alla vita stessa senza tuttavia scadere nel romantico, nel romanzato, ma nel tragico.