di Antonio Vacca
Abbiamo cercato i riflessi dell’immagine produttiva – ed espositiva – del Salernitano alla Rassegna napoletana Vitigno Italia, Salone del vino (e dei territori vitivinicoli italiani, quindicesima edizione) che oggi “chiude” nella sempre suggestiva allocazione di Castel dell’Ovo. Evento principe dell’enologia ‘in mostra’, per il Meridione, e la possibilità di cimentarsi con varie realtà nazionali (si pensi al Consorzio del Prosecco e – “no wine” – all’ormai gettonatissimo stand della manifattura Sigaro Toscano).
Naturalmente il core business è la Campania, i ‘big’ schierati a ricordare la loro attività e contattare il segmento buyer, ristoratori, sommelier e semplici appassionati, confermando la realtà d’una regione ormai nodale nello scenario italico. Focalizzando in particolare la nostra provincia, certamente non è possibile ancora percepire una presenza paragonabile alle altre quattro. Irpinia e Sannio hanno una datata dimensione internazionale, il Casertano percorre la scia di ritrovati vitigni, il Napoletano gioca in casa e, pur con meno disponibilità territoriale, sfrutta bene i must geocolturali: Vesuvio, Astroni, Campi Flegrei, così via; l’Isola d’Ischia conferma una storica vocazione.
Per noi salernitani, capofila continua ad essere il Cilento: abbiamo ritrovato l’Azienda Barone (da Rutino) che valorizza l’Aglianico, saggiandone il Rosato ‘Primula rosa’, 13° e color buccia di cipolla, deciso e strutturato. Continuando la visita all’insegna di questa tinta preferita, dunque ispirati ad una sorta di “fil rosé” che ha permesso il confronto con la Vendemmia 2018, generalmente freschissima d’imbottigliamento. Si è proseguito con il ‘Vetere‘, avvolgente, sempre Aglianico in ‘purezza’ – 12° – da San Salvatore, marchio della famiglia Pagano, con ristorazioni e alberghi nell’area pestàna, vigne sparse per il Cilento antico e collinare del quale le etichette riecheggiano: Jungano, Palinuro, Trentenare. Non era presente l’altro Rosato, “mosso”, Gioi, 12,5°, spumante millesimato (cioè ‘porta’ l’annata) da Metodo Classico (rifermentazione in bottiglia, come per lo Champagne), altrove apprezzato per la sua composta briosità. Condivideva lo stand con le lucane Cantine D’Angelo (di cui abbiam bevuto il bel Villa dei Pini, rosé equilibrato da Aglianico, ma del Vulture) la notoria De Conciliis di Prignano: con ‘Bacioilcielo‘ e, in bella vista, i Donnaluna.
Per ritrovare altre note ‘provinciali’, fra due piani espositivi e almeno otto ambienti di suddivisione, c’è stato però bisogno di confrontarsi con un “Banco” pluriaziendale che radunava in bello spazio diverse ‘realtà’ delle cinque suddette provincie. Sempre rimanendo alla “nostra”, c’era la promettente VillaLupara, colline fra Salerno e Cava de’Tirreni (della quale ricordiamo, qualche anno fa, un’intrigante ‘Verticale’ di Bianchi che sfidava l’invecchiamento) qui presente con “Il Puro” (2017), una Falanghina da 13,5°. Sempre in tema di Bianco, si faceva notare Enfasi (Fiano cilentano -13°, 2018) dell’agropolese Botti. Dalle suggestioni di Punta Licosa (Castellabate) il Caprarizzo, dell’omonima Agricola. In ‘rosso’ un Colli di Salerno di pregio strutturale già noto, MilaVuolo, suggestivi quattordici gradi e mezzo ed una maggiore ‘profondità’ cronologica: 2mila13 (proprio così il riporto civettuolo dell’Annata).
Fa piacere ritrovare Casebianche di Torchiara, famosa per graziosissime spumantizzazioni (La Matta e, in ‘rosa’ Il Fric). E ci conforta rivedere un produttore particolarmente vicino a Battipaglia, la Vinicola Lenza che tiene alto il ricordo dei Picentini, terra in grande fermento enoico che meriterebbe più visibilità. Di quest’ultimo produttore (l’anno scorso presente a Vinora, rassegna cittadina che quest’anno torna, a fine giugno) ci delizia la predisposizione per i Rosati: qui c’erano il Vale, 12°, “fermo” e, mezzo grado in più, il “bollicinoso” Gabry. Non sappiamo se in buona fede ci è sfuggito qualcuno, degustando diversi vini anche da altre zone: certo, non abbiamo bevuto per dimenticare e intanto, Salute!